Sign in | Log in

La punteggiatura dei giorni

La punteggiatura dei giorni

Alessandra Grandi (June 4, 2010)
Alessandra Grandi

Leggere la città...

Tools

La punteggiatura serve a dare un tono un ritmo un battito un respiro serve a fermarsi e tornare indietro serve a leggere le parole e capire davvero le parole.
Nella vita di tutti i giorni, nella mia vita in questa nuova città, la punteggiatura sono le persone. Le persone e i piccoli accadimenti interrompono il flusso costante di ore e danno una direzione al tempo.

Ecco la punteggiatura che mi aiuta a leggere e capire New York.
 

L'altro giorno ho visto un ragazzo sciare su Madison Avenue.
E non c'era la neve.
Aveva le bacchette da sci (si chiamano così? Sembra un nome improprio per un oggetto tecnico), il casco (da ciclista però) e ai piedi i rollerblade. Aveva l'andatura dello sciatore, ma le montagne intorno erano di cemento e cristallo. Mi sono girata a guardarlo sorpresa. Deve essere stato un punto esclamativo!

Oggi in metropolitana, linea D, ero seduta in mezzo a due idee di lettura.
Alla mia destra una ragazza stava leggendo dall'ebook. E' un oggetto piatto, che ricorda le lavagnette su cui facevamo dei disegni imprecisi da cancellare con un solo gesto. Chissà se le avete presenti, quelle lavagnette. Neanche quelle mi sono mai piaciute troppo.
Si basava sull'effimero. I disegni non erano veri, non avevano colori, non resistevano ai miei pasticci.
Alla mia sinistra un ragazzo stava studiando su un libro ingombrante e pesante. Girava le pagine (sentivo il sussurro), sottolineava i passasggi importanti (con la penna, sacrilegio!) e ad un certo punto l'ho visto disegnare. Alla fine di un capitolo di "The myth of racism" (il libro in questione) ha appuntato un volto.
Non so se abbia ritratto qualcuno confuso nella folla, o se fosse invece un volto immaginario. Era un volto africano, che mi ha ricordato le splenidide maschere di mia madre.
Alla mia destra avevo il libro del futuro. Feddo, leggero, effimero, pratico.
Alla mia sinistra resisteva il libro che puoi sporcare, che maledici quando lo devi trascinare appeso ad una borsa che taglia la spalla. Il libro che suona, che odora, che si consuma, che si impregna di te.
Io ero nel mezzo, ma come al solito tendevo a sinistra.
Quello era un punto.
 

In metropolitana, per strada, sulle scale, in ascensore, nei negozi, ovunque mi ritrovo accanto qualcuno che ascolta la musica e canta (a volte la musica passa per l'i-pod, a volte pulsa da una radio anni 80). Il problema qui si scompone. Perchè non solo il più delle volte la musica la puoi sentire anche se le cuffie non sono incastrate nelle tue orecchie (vedi alla voce: loud), ma fin troppo spesso il tenore non è dotato di talento. Allora va bene che la musica è il respiro di NY, va bene che cantare ci fa star bene e qualche volta è un impulso irrefrenabile. Ma per quale motivo ogni due metri devo inciampare nella voce stonata di una canzone privata? Questo era un punto interrogativo.
 

Nella lobby del palazzo in cui si trova il mio ufficio, ogni mattina supero le porte girevoli e mentre mi avvicino agli ascensori vengo avvolta dal profumo dei fiori che decorano la reception. Lilium, orchidee, fiori viola, rossi o bianchi. Rallento il passo e respiro intensamente. Poi le porte dell'ascensore si aprono e io salgo verso una nuova giornata di lavoro. Ma quei fiori, quel breve istante, sono una virgola.

DISCLAIMER: Posts published in i-Italy are intended to stimulate a debate in the Italian and Italian-American Community and sometimes deal with controversial issues. The Editors are not responsible for, nor necessarily in agreement with the views presented by individual contributors.
© ALL RIGHTS RESERVED - RIPRODUZIONE VIETATA.
This work may not be reproduced, in whole or in part, without prior written permission.
Questo lavoro non può essere riprodotto, in tutto o in parte, senza permesso scritto.