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La voce della strada

La voce della strada

Alessandra Grandi (January 27, 2010)

Senza volere, prima di programmarlo, sono inciampata nei fantasmi della città, nel sogno spezzato. Senza volere, poi la vita mi ha restituito un grammo di gioia.

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Novembre 2009

Non era così che avevo immaginato quel momento, avrei voluto pensarci, prepararmi, in qualche modo. Ma il momento è arrivato, e non ho potuto fare altro che andare avanti.


Ero sul treno Bologna - Roma con mia madre. Avevo appena cambiato casa e lei era era venuta su per darmi una mano con il trasloco. All'inizio non capimmo bene, sembravano parole sconnesse: "due aerei si sono schiantati contro le Torri Gemelle".
Di quei giorni di settembre ricordo, oltre l'angoscia, il freddo. Andavo in giro per casa avvolta da una coperta di lana, ma eravamo ancora sulla scia finale dell'estate. Il freddo ce l'avevo dentro.
Vedevo quei palazzi, simbolo di una città che aspettavo di assaporare e amare, cadere giù e allo stesso tempo pensavo, ecco io quella cosa lì, non la vedrò mai. Hanno ucciso centinaia di persone, strappato famiglie e vite intere, e tra tutte quelle macerie c'è il mio piccolo sogno senza futuro.

Adesso sono qui, a realizzare quel sogno, otto anni dopo, eppure in queste settimane mi sentivo troppo felice per riuscire ad affrontare quel fantasma.
Succede poi che la vita ti costringe ad essere onesto con te stesso, e camminando per raggiungere un luogo di lavoro sono inciampata in Ground Zero. Non ero sola, come avevo sperato di essere. Ero di corsa ed ero spaesata. Il cantiere è al lavoro per ricominciare da un palazzo nuovo.
Il sole qui a downtown lo vedi poco, sempre di sfuggita, perché i palazzi fanno ombra. Ecco, oggi era una bellissima giornata di sole e tutti i suoi raggi mi hanno scaldata, perché nello spazio bianco c'era posto anche per il sole.
Sentivo l'assordante eco del silenzio.
Non le immaginavo più le torri bruciare e sprofondare, vedevo il sole e i palazzi fare un cerchio intorno al silenzio. Mi sembrava una scena contro natura, in un luogo del tutto innaturale.

La giornata poi è stata faticosa, sporca, sonnolenta e senza senso.
Finché non sono entrata nella stazione della metropolitana. Lì mi sono immersa con il corpo e l'anima nella musica della strada.
Nella stazione di Herald Square ogni giorno suona una band, io solitamente ascolto distrattamente e vado avanti. Oggi non sono riuscita a muovermi per almeno venti minuti. Ero incollata a quella jam session metropolitana. Sette componenti, ovviamente misti. 4 afroamericani, 2 asiatici e un bianco. Ognuno di loro si esibiva in modo diverso, in un flusso di note ed energia travolgente.
I ragazzi asiatici, un chitarrista ed una batterista, vivevano la loro musica in maniera privata, intima, quasi trattenuta. Ma la vedevi, quella musica, scorrere veloce e impetuosa dentro di loro.
Il chitarrista stava per dare fuoco alle corde, ma non spostava i piedi di un passo e teneva gli occhi chiusi. Solo le dita correvano e spezzavano l'aria.
I sassofonisti neri invece si agitavano, ballavano, ruotavano ed esultavano nella loro aperta e gioiosa esplosione di suoni.
Infine il bianco, con follia e lucidità li dirigeva tutti, usando la sua tromba come fosse una bussola per i naviganti.
In una stazione metropolitana dove si incrociano almeno otto linee non sono riuscita a sentir passare un vagone. La voce della strada gridava tutta la sua potenza.

Questo concerto così appassionato ha risucchiato la mia stanchezza e ha ridato ordine, con caos e armonia, ai miei pensieri di oggi.
Mi ha fatto vedere la vita che scalpita e si ribella.

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