Napoli, Cappella Sansevero: la vera origine tra amore e morte
Napoli, Cappella Sansevero: la vera origine tra amore e morte
“Secoli bui, secoli muti, secoli velati. Immagini d’amore, dolore, morte, pietà e ancora amore si susseguono davanti ai miei occhi come scene di tele già dipinte, in una Napoli dai troppi colori, colma di sentimenti e pulsioni sorde a qualsiasi richiamo, che raccontano la passione scoppiata in due giovani cuori, dei baci, degli abbracci, delle promesse, di amore nascosto, invidiato, osteggiato. Vedo due ragazzi innamorati (..) Vedo la follia di una moglie, la crudeltà di un marito. E’ la vita di Maria d’Avalos e Fabrizio Carafa che corre nel mio sguardo”.
Napoli, ottobre 1590: nel palazzo della famiglia di Sangro il musicista Carlo Gesualdo da Venosa ammazza brutalmente la moglie Maria d’Avalos e il suo amante Fabrizio Carafa, duca d’Andria, figlio di Adriana Carafa, moglie di Giovan Francesco di Sangro, colti in flagrante adulterio. Si intrecciano la vita e la storia di tre tra le più potenti e famose famiglie del Regno di Napoli.
Nello stesso anno, le fonti storiche fanno risalire l’edificazione della Cappella Sansevero, la chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella. Per anni, dal 1623 con la “Napoli Sacra” di Cesare d’Engenio, fino ad oggi, i due eventi non sono mai stati messi in correlazione. Finalmente, Beatrice Cecaro, scrittrice e discendente della famiglia di Sangro, con “Madre di Pietà – Amore e morte all’origine della Cappella Sansevero” ( Ed Alòs ), ci svela le origini della Cappella, sfatando secoli di miti e menzogne, partendo proprio dalla notte, tra il 16 e il 17 ottobre, dell’omicidio, grazie ad anni di sofferte ricerche tra gli scaffali della Biblioteca Nazionale. Ma se lo sentiva, aveva la sensazione che la verità, la storia completa, doveva ancora essere raccontata. C’era un anello mancante che per troppi anni era stato oscurato da bugie.
“Il mito narra che”, una volta un prigioniero venne tradotto verso il carcere quando, transitando lungo il muro della proprietà dei Sansevero si votò alla Santa Vergine. Improvvisamente parte del muro crollò rivelando un dipinto proprio della Vergine invocata. Poco tempo dopo, ne venne riconosciuta l’innocenza. Scarcerato, l’uomo, memore del miracolo, fece restaurare la Pietà disponendo che al suo cospetto ardesse per sempre una lampada in argento. Il luogo sacro, come era ovvio, divenne presto meta di pellegrinaggio popolare. Da tale devozione non fu esente il I Principe di Sansevero, Giovan Francesco Paolo di Sangro, che, colpito da grave malattia, alla “Pietatella” si votò ottenendone la guarigione.
La realtà, la storia, la verità è totalmente un’altra.
Gesualdo e Maria si sposarono, con “dispensa del sommo pontefice”, nella casa e nella chiesa ( proprio l’attuale Cappella ) dove abitava in fitto il principe da Venosa. Il Palazzo “piccolo”. In seguito, Maria, una tra le donne più desiderate del Regno di Napoli, incontrò ad una delle tante festa dei salotti napoletani, il Duca d’Andria, Fabrizio, uno dei cavalieri più affascinanti della città. S’innamorano, perdutamente. Prima vissero il loro amore in gran segreto, poi alla luce del sole. La loro divenne la storia di tutti. Gesualdo, venne avvertito più volte. Ma egli voleva però, prima “ di lavare con il sangue il disonore”, vederli insieme. I due giovani provarono a lasciarsi, ma la passione fu talmente forte che ci riuscirono. Allora la nera ed oscura mente del musicista meditò di vendicare il tradimento, preparando una messa in scena. Finse, assieme a parenti, amici e sgherri reclutati, una sera, di andare a caccia nel bosco degli Astroni. Fece sapere che sarebbe tornato l’indomani. Invece, si nascose in casa amica. Maria e Fabrizio, che oramai girava sempre con spada e guanto, pronto a sfidarsi in duello, avevano la notte tutta per loro. Ma non pensarono fosse l’ultima. “Il destino stava per compiersi” dice l’autrice. Quelle ore e quei minuti sono stati raccontati da tantissimi storici e letterati, tra cui Anatole France, che ne fa un racconto epico nella “Historia de dona Maria d’Avalos et du duc d’Andria” e Torquato Tasso, amico di Gesualdo, che dedica ai due amanti il sonetto “In morte di due nobilissimi amanti”. A quel punto Gesualdo, ritornò a casa e salì in camera. Il primo a cadere fu Fabrizio. Poi Maria. I corpi vennero spogliati e lasciati in fondo alle scale del palazzo. L’indomani una gran folla accorse. Tutti dovevano vedere.
Le circostanze lo “giustificavano” dal punto di vista della legge e del costume del tempo, tanto che il viceré conte di Miranda, lo esortò ad allontanarsi da Napoli, solo per non esasperare il risentimento delle famiglie degli uccisi. Carlo fuggì da Napoli e si rifugiò nell’inaccessibile ed inespugnabile castello-fortezza di famiglia Gesualdo. Il vergognoso, perché sommario, processo condotto dalla Gran Corte della Vicaria, venne archiviato il giorno dopo la sua apertura “per ordine del Viceré stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mosso don Carlo Gesualdo Principe di Venosa ad ammazzare sua moglie e il duca d’Andria”.
Questo omicidio “pose” la prima pietra alla Cappella. Prima era una chiesa, poi una Cappella funeraria, infine con Raimondo, divenne un tempio gentilizio. La madre di Fabrizio, Adriana, “donna forte, bella, autoritaria e potente”, sposa del primo principe di Sansevero, vuole la salvezza dell’anima del figlio. Ecco. E’ qui l’origine. La Pietas di una madre che, straziata per la morte del figlio senza giustizia, edifica una Cappella, dove pregare per lui. E’ un viaggio, questo di Adriana che coinvolgerà anche Maria Maddalena, moglie tradita, personaggio del tutto particolare, e alcuni esponenti “illuminati” come Suor Orsola Benincasa e Papa Clemente VIII, al quale si rivolgeranno per chiedere la serenità spirituale della famiglia.
E’ sempre stato tutto davanti ai nostri occhi. Tutto già scritto nelle pagine di pietra e marmo della Cappella. Nei dipinti. Nelle statue. Nessuno, nei secoli, aveva mai letto niente. Ci è riuscita Beatrice Cecaro, con la sua forza di volontà e tenacia, in un racconto molto personale, familiare, che oscilla tra il romanzo ed il saggio storico. E’ un carico di sentimenti. E’ un viaggio attraverso ricordi , quasi una corsa incessante che solo alla fine si placa. Beatrice desidera sapere. E alla fine, si sente appagata. In più emerge la passione e la vicinanza dei luoghi e delle persone con l’autrice. In effetti, la Cappella, è proprio casa sua. Lo dice al padre, che sente presente, ancora al suo fianco, a stringergli la mano. Finalmente si è ripresa ciò che era stato tolto tanti anni fa.
E’ sempre stato tutto lì. La scritta “Mater Pietatis”, l’immagine della Madonna, madre di pietà, Adriana, sulle cui ginocchia giace il corpo del figlio massacrato. Lo Zelo della Religione, che testimonia il legame con Adriana Carafa, la madre dei di Sangro. La Cecaro ci ha restituito un pezzo di storia di Napoli. Non possiamo fare altro che ringraziarla.
Ora, la verità e l’onesta della Storia sono ristabilite “a memoria di una appartenenza che nessuna bugia, in nessun tempo, cancellerà più”.