"Dobbiamo mettere in discussione chi siamo"
"Dobbiamo mettere in discussione chi siamo"
Intervista a Maurizio Molinari, corrispondente per La Stampa a New York. "Il nostro Paese si deve ancora abituare a qualcosa di già assodato a Londra, Parigi o Bruxelles... Il comune insegnamento che viene da Paesi di vecchia o giovane immigrazione, dagli Stati Uniti al Belgio, è che non vi sono alternative ad un patto sociale con gli immigrati che offra parità di diritti in cambio di assoluto rispetto della legge.”
Ha viaggiato come inviato in più occasioni nei Balcani, in Medio Oriente, in Africa. Ha scritto libri che spaziano attraverso diverse culture, vive negli USA da diversi anni e lavora come corrispondente della Stampa.
Ha un suo sito http://www.mauriziomolinari.org/ ed un blog dove i lettori possono commentare direttamente i suoi articoli.
Maurizio Molinari ha certamente gli strumenti e la sensibilità per comparare società, mondi diversi. Poniamo anche a lui alcune domande sul tema “immigrazioni a confronto”.
Quale è la tua sensazione quando torni in Italia e vedi che il nostre paese diventa sempre più multietnico? Credi possibile un'ondata di xenofobia come oggi si teme da più parti? Giuliano Amato ha parlato del rischio "che questa terribile tigre, la rabbia xenofoba, la bestia razzista, sfugga dal controllo". Si tratta solo di sacche di violenza, o il malessere è più diffuso di quanto si pensi?
“L'Italia ha scoperto da poco tempo l'immigrazione di massa da parte di stranieri. Si tratta di un fenomeno recente rispetto a quanto avvenuto in Francia, Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Germania o Scandinavia. Questo significa che noi stiamo attraversando ora una fase che altri hanno già conosciuto, l'impatto forte e in qualche maniera improvviso di stranieri in grande numero. Quando vengo in Italia è proprio questo che mi sorprende. Il nostro Paese si deve ancora abituare a qualcosa di già assodato a Londra, Parigi o Bruxelles: quartieri dove la maggioranza dei residenti non sono bianchi, non sono nati in Italia ed hanno una fede diversa da quella cattolica, che in Italia resta maggioritaria. Siamo insomma nella fase dello shock iniziale, che altri in Europa hanno avuto già a partire dagli anni Cinquanta, per non parlare poi di nazioni come gli Stati Uniti, il Canada o l'Australia formatesi con gli immigranti. Arrivare tardi comporta rischi ma anche opportunità. I rischi hanno a che vedere con la differenza di sintonia fra gli immigrati, che si aspettano una migliore integrazione, e la popolazione locale, che non ha fatto ancora la scelta di accoglierli. Le opportunità nascono dal fatto di poter imparare dagli errori altrui. A tale riguardo .,
Pensi che gli italiani abbiano sufficienti strumenti culturali, prima ancora che politici, per accogliere gli stranieri?
“E' una domanda-chiave. La carenza di strumenti culturali nasce dalla storia italiana: l'unica minoranza che abbiamo avuto da 2000 anni è quella ebraica, assai esigua nei numeri e praticamente assimilata nei costumi, dunque gli italiani non sanno cosa significa con numeri imponenti di stranieri con cultura e fedi diverse. Servirà molto tempo per abituarcisi ma le leggi servono proprio a questo. Poichè le migrazioni non possono essere fermate devono essere governate: negli Stati Uniti vi sono, secondo alcune stime, oltre 30 milioni di illegali su una popolazione totale di 302 milioni di abitanti. Nessuno pensa di cacciarli via perché servono al sistema economico ma gli illegali sanno che alla prima infrazione scattano le manette e l'arresto. Il deterrente contro gli atti di violenza da parte degli immigrati, clandestini o meno, non è l'espulsione ma l'applicazione severa e puntuale della legge. Proprio come avviene nei confronti di tutti gli altri cittadini.”
Credi che una maggiore conoscenza della storia dell'emigrazione italiana (che fra l'altro non si insegna nelle scuole) possa contribuire a rafforzare la consapevolezza, soprattutto nei giovani, non solo del nostro passato, ma anche del nostro presente?
“Studiare l'immigrazione italiana significa approfondire l'esame di una migrazione molto diversa da quelle attuali. Gli italiani quando andavano in America, in Germania o in Belgio puntavano a lavorare per integrarsi mentre oggi gli immigrati in arrivo da molti Paesi musulmani tengono a lavorare ma ad isolarsi dal resto della società. E questo causa tensioni. Sarebbe positivo se fossero questi immigrati a studiare le caratteristiche delle immigrazioni precedenti, dell'Ottocento come di primo Novecento, per scoprirne la radice del successo.”
Cosa ha voluto dire per la tua formazione e sensibilità personale studiare all'Università Ebraica di Gerusalemme, poi in Inghilterra… poi a Roma…
“Ha significato doversi adattare a modi di pensare, operare e studiare diversi dai miei. Ma che alla fine mi hanno arricchito. E che continuo a portare con me.”
Se tu dovessi commentare per gli americani gli ultimi eventi italiani, il rischio di identificazione della responsabilità personale con quella di un intero gruppo etnico, cosa diresti? Proviamo insomma a copovolgere il tuo ruolo di commentatore che spiega l'America all'Italia. Immaginiamo di dover spiegare l'Italia di oggi agli americani... inclusi quei milioni di americani di origine italiana che qualcosa dovranno pur ricordare del loro passato di emigranti...
“Gli americani hanno difficoltà a comprendere come sia possibile che a Roma e Milano, ma a volte anche a Londra, Parigi e Bruxelles, le forze dell'ordine non riescono a imporre il rispetto della legge agli immigrati. E' questo il punto focale dell'incompresione di quanto sta avvenendo in Europa. Molti parigini che hanno scelto di venire a vivere in America dicono che i problemi della sicurezza ‘sono iniziati quando la polizia ha smesso di arrestare chi passava con il rosso al semaforo’. Altri italiani fanno racconti simili. La differenza fra Europa e Stati Uniti è nel sistema del "law enforcement", l'applicazione della legge.”
Infine, tu hai scritto tra l'altro un libro "No Global? Cosa dicono veramente i movimenti di protesta, Editore Laterza". Con questo saggio hai guardato al movimento con occhio critico rivenlando anche quanto l'informazione su di loro non abbia spesso riflettuto la qualità delle proposta. Perchè si rimane sempre chiusi nel proprio universo e non ci si rende conto che politiche dirette allo sviluppo dei paesi di provenienza possono essere molto più efficaci della militarizzazione delle frontiere dei "paesi di accoglienza"? Perchè non ci si rende conto che un mondo diviso in ricchi e poverissimi è in realtà sempre più povero, potenziale focolaio di scontri di ogni tipo?
“Perché non c'è nulla di più difficile che confrontarsi con realtà che mettono in discussione le nostre idee più sedimentate, che spesso coincidono con i pregiudizi. Nel mondo globale ciò che tende a prevalere è la conoscenza dell'altro, la curiosità sui valori di chi è diverso da noi. Ma è la prova più difficile da superare perchè obbliga a mettere in discussione chi siamo.”
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