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Scusateli se sono giovani

Scusateli se sono giovani

Letizia Airos (November 25, 2010)

Ci togliamo un sassolino dalle scarpe.
Parliamo di giornalismo, sbarbatelli e vecchie abitudini italiane...
Di cosa può succedere quando una redazione di "ragazzini" intervista Nichi Vendola

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Lo scenario è questo. Una redazione di giovani giornalisti (almeno secondo il criterio americano) decide, insieme al direttore, di intervistare Nichi Vendola, presidente della Regione Puglia e personaggio di punta nel mondo sinistrato della sinistra italiana.


Il piano è quello di incontrarlo prima del suo intervento alla Casa Italiana Zerilli-Marimò della NYU e farlo parlare senza entrare nel politichese italiano, di presentarlo in poche parole ai lettori di i-Italy. Italiani, americani ed italo-americani, che il più delle volte poco sanno dell’imbroglio politico italiano. E usiamo la parola “imbroglio” per dire imbrogliato, difficile da sbrogliare per i non iniziati.
 
Per questo un magazine come il nostro, che vuole raccontare l’Italia “italiana” e l’Italia “americana”, ha non poche difficoltà a farlo con chiarezza. I temi della politica dovrebbero essere temi di tutti, ma sembra che in Italia non vada proprio così.

Ma torniamo alla redazione. Si riunisce ed imposta le domande per l’On. Vendola. Sa di avere a disposizione poco tempo. Il suo scopo è  realizzare un filmato di meno di dieci minuti che riesca a parlare ad un pubblico anglofono.

Dunque, grazie al direttore della Casa Italiana, Stefano Albertini, riesce ad avere un’aula a disposizione. Nichi Vendola farà una conferenza alle sei nell'auditorio, l’intervista collettiva è poco prima.

Per Nichi Vendola si prepara un bagno di folla, e moltissimi vengono prima delle sei. Anche alcuni giornalisti italiani. Ma nessun problema, l’incontro della redazione di i-Italy può essere pubblico. L’importante è non rompere la scaletta delle domande, lo scopo è quello di realizzare un video.

Comincia cosi la conversazione/intervista. Il presidente della Regione Puglia risponde. Nel frattempo, intorno, molti dei colleghi italiani che abbiamo "ospitato" nell'aula prendono appunti, ascoltano, fotografano.

Questo è lo scenario. Ma vorremmo dire l’antefatto. Andiamo al motivo di questo “sfogo” che porta a rompere una regola: quella di scrivere meno commenti possibile come direttore e lasciar parlare la redazione.

Tutto comincia infatti quando un collega (si dice il peccato, ma non il peccatore) afferma: “Ma che, porti i ragazzini ad intervistare Vendola?”  E tutto finisce con un breve lancio dell’Ansa, dove riportando una risposta di Vendola ad i-Italy, si parla di “studenti” che intervistano il presidente della Regione. Omettendo però chi erano questi “studenti” e da dove venissero fuori. (E il giorno dopo, la stessa notizia, con lo stesso velato tono, viene ripresa perfino da Marco D'Eramo sul Manifesto!)

Ecco lo vogliamo dire. Tra la frase del collega e la pubblicazione del lancio dell’Ansa c’è un mondo, un giornalismo italiano che proprio non ci piace.
 
E dietro tutto questo ci sono interessi che calpestano energie vitali che spesso provengono dalle giovani generazioni.
 
Chiedete ad un americano se in una fascia di età tra i 25 ed i 31 anni non si può essere considerati giornalisti. E non solo “studenti” o “stagisti”, guardati dall’alto in basso. Osservateli i volti dei commentatori e degli analisti della CNN o di MSNBC. “Sbarbatelli” direbbero alcuni. O giovani brillanti? A cui è stata data fiducia, invece di traparne le ali facendone poi dei cinquantenni frustrati, come tanto spesso avviene in Italia.
 
La nostra redazione era una giovane redazione (secondo i parametri gerontocratici italiani!), e il direttore ha deciso di non fare il protagonista. Ed ha anche deciso di non affidare l’intervista ai collaboratori più “consolidati” della testata. Ha scelto di rendere i più giovani protagonisti. Sconvolge tanto tutto questo? Sa tanto di gita scolastica? O non sarà che siamo un giornale online? Un “sito web”… è ancora roba da studenti per gli italiani… :-)
 
Ci chiediamo: un giornalismo corporativo dominato dalla terza età, sostenuto dai soldi pubblici più che dai lettori, con scuole di giornalismo accessibili a pochi, che fa sudare e pagare per essere ammessi ad un praticantato, che relega i giovani all’ultimo scalino della piramide, quasi vergognandosene, eppure sfrutta il lavoro degli stagisti, senza mai dare soddisfazione… Un giornalismo che ha dimenticato l’importanza di quell’apprendistato quasi da bottega, nelle piccole testate, che pure ha dato luce alle migliori firme… E’ ancora un giornalismo sano? E’ in sintonia con la realtà che lo circonda, capace di raccoglierla e raccontarla attraverso un pluralismo di voci?
 
E tornando un secondo alle difficoltà di accesso alla professione ci piace ricordare una battuta di Vendola alla Casa Italiana. Ad una giornalista de Il Fatto Quotidiano che gli rimproverava  di non aver usato la parola meritocrazia ha replicato: “Se sei nato in una casa in cui ci sono mille libri  e l’educazione alla musica e al cinema, è molto più facile presentarsi  gonfi di qualche merito rispetto a chi è nato invece in una condizione di abbandono e miseria culturale. Per questo bisogna anche intervenire, non solo puntare sul talento individuale. Non tutti hanno la fortuna di poter costruire. Una meritocrazia che non faccia anche il discorso sull’abbattimento delle barriere sociali è un discorso a metà. Mettiamoli tutti e due insieme. Merito, ma anche abbattimento delle ingiustizie sociali.”
 
Ecco, in Italia oggi accedono al giornalismo soprattutto coloro che hanno quei libri in casa, che possono farsi pagare una scuola, permettersi anni di lavoro a tempo pieno senza essere stipendiati.
 
Non diciamo che negli USA sia una passeggiata diventare giornalista, ma sicuramente non è necessario essere iscritti ad un Ordine, se proponi idee nuove non è tanto facile per la vecchia guardia metterti sotto… Se apri un blog non vieni demonizzato. Magari la sera lavori in un ristorante, ma di giorno combatti per diventare quello che vuoi essere. Se sei giovane, poi, hai addirittura dei punti in più! E non parliamo di Internet. Grazie alla faciltà con cui questo paese, almeno, accoglie il nuovo.
 
Ok. Era solo un sassolino da togliersi dalle scarpe, amici come prima. i-Italy continua a fare il suo onesto lavoro, senza Ordini, senza finanziamenti a pioggia, o ad hoc. E lo fa  sulla rete, cercando sostegno di chi apprezza il nuovo. Con l’appoggio dei propri lettori. E dei propri collaboratori. Scusateli se sono giovani.
 
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Per la cronaca, come si dice in gergo: i-Italy è una testata registrata al Tribunale di Roma, bilingue e con la maggior parte della redazione a New York. Da quando è nata, insieme alla sua community italica.us, ha avuto quasi 2 milioni di hits, il mese scorso abbiamo sfiorato le 90,000 "unique pageviews." I nostri video sul canale YouTube (www.youtube.com/iitaly) sono stati visti 160,000 volte. E oltre 8,000 splendidi amici ci seguono ogni giorno su Facebook (www.facebook.com/iitaly). Siamo la più seguita realtà editoriale bilingue dedicata all'Italia e all'Italia americana che esista sulla rete. Tutto senza un soldo del finanziamento pubblico all'editoria, italiana o estera. E grazie ad una redazione di "ragazzini".


 
 
 

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