Storie vere di una napoletana fuori sede.
Dovete sapere che io ho bisogno di arrabbiarmi per tirar fuori uno scritto come si deve sul tema Sud. L’altra volta erano i luoghi comuni su Napoli, capitale d’Africa (ahah, che ridere), oggi vorrei continuare con altri luoghi comuni, reale testimonianza di una terrona fuori sede.
Sarà che ormai sono riuscita a mimetizzarmi in questo covo di nordici che è Torino, sarà che i miei conoscenti e amici ormai sanno che se mi si tocca la “madre patria” attacco l’uomo ma, stavolta, proprio non riesco a trovare le “perle” necessarie per scatenare la mia ira.
Quindi, se ancora non vi siete stancati di leggere questo post, chiudetelo ora, perché farò un preambolo dall’aria vagamente malinconica. Basti pensare che inizia così:
ormai sono tre anni che vivo a Torino. Mi sono laureata, ho cambiato tre case, ho lottato contro intere comunità di scarafaggi, ho stretto rapporti, ho stretto la gola alle persone con cui non volevo più rapporti… insomma, la prassi se si pensa ad uno studente fuori sede.
Sbagliato.
L’ubicazione geografica della mia città di nascita vuole che, ancor prima di essere una studentessa, io sia una napoletana. Voi direte: “e quindi? Ottimo, finalmente una coinquilina in grado di fare il caffè e la pizza!”. Sbagliato di nuovo.
Se c’è una cosa che ho imparato in questi tre anni è che, seppur di recente si siano festeggiati i 150 anni dell’Unità d’Italia, l’Italia è tutt’altro che unita. No, niente razzismo territoriale, discriminazioni o robe varie, non è di questo che sto per parlare. È forse più un racconto di limiti; non geografici… mentali.
Non avendo mai varcato i confini italiani, se non per diletto, vacanza o fancazzismo, non ho un’idea ben chiara di quanto l’intolleranza tra Nord e Sud del mio Paese, sia trapelata all’estero. Ma tranquilli, ve la racconto io (adesso ci starebbe bene un bel “che culo!”).
In questi tre anni, tra convivenze, università e rapporti assortiti e vari ho avuto la fortuna di conoscere una moltitudine di persone e, ognuna di loro, mi ha lasciato qualcosa da ricordare. La maggior parte in senso positivo, l’altra parte… beh, ne parleremo.
Lo stereotipo del campano che ho mostrato qualche post fa, ahimè, è frutto non solo di sondaggi, ma anche di alcuni rapporti intrecciati qui, nel ridente capoluogo sabaudo.
Potevo mimetizzarmi, avevo la chance di rendermi camaleontica e spacciarmi per russa o tedesca o svedese. Ma, nonostante i capelli biondi e gli occhi azzurri, sono alta un metro e basta e ho delle serie difficoltà a tacere. È bastato un attimo affinché, pronunciato il primo “ciao” da ospite di Torino, mi venisse posta la fatidica domanda “ma tu non sei di qui!”.
Eh. No. Già.
“Sono di Napoli”.
Palle di fieno hanno preso a rotolare nell’atmosfera improvvisamente silenziosa di una città che, seppur abituata alle “invasioni” dei sudici, ancora non si è rassegnata.
Ebbene, signori e signore, ammessa la mia provenienza dai confini più infimi del Regno d’Italia, la mia vita è stata segnata. Torme di domande a sfondo culturale-folkloristico hanno improvvisamente riempito le bocche dei miei interlocutori, infiniti pensieri circa la sicurezza della loro vita e dei loro beni hanno affollato le loro menti dallo spazio inverosimilmente libero.
Dubbi, domande, curiosità, sciocchezze dette tanto per dire… insomma, tre anni di questo hanno dato vita alla fantastica hit-parade che vi riporterò qui:
5 - In quinta posizione troviamo la tanto banale quanto intramontabile:
“Ah bene, sei di Napoli. Quand’è che ci cucini la pizza?”. Signori… mi è stata posta talmente tante volte questa domanda che quasi mi vergogno ad ammettere che no, non la so fare la pizza. Non ci ho manco mai provato o, se è successo, le conseguenze sono state così disastrose dal farmi rimuovere quel triste evento.
4 - “Devi buttare l’immondizia? Non la lanci dalla finestra?”.
No, pazzesco, vero? Ci ho provato qualche volta, poi sono stata bandita dall’ordine dei napoletani perché la parabola dei miei lanci era imperfetta…
Scherzi a parte non sono riuscita a trovare spiegazione a questa leggenda metropolitana se non in un film uscito pochi anni or sono e, in ogni caso, mi chiedo quanta materia grigia sia necessaria per pensare anche solo minimamente che una simile usanza possa essere veritiera. Poi, quando torno al Sud, guardo i lati delle tangenziali e di certe strade e maledico con tutta ma stessa i miei conterranei.
3 - “Ma come! Sei napoletana e non sai scassinare un lucchetto?”
Ecco, prima che pensiate male. Un giorno mi si spezzò la chiave della catena della bici nel lucchetto. Ci provai in tutti i modi, forcine, cacciavite, pinze, ma niente. La catena è tutt’ora legata intorno alla sella della mia bicicletta con la chiave incastrata nel lucchetto.
E comunque no, non so scassinare un lucchetto. Di solito, quand’è così, le serrature le facciamo saltare col tritolo.
2 - “Lo capisci l’italiano, vero?”
Sì, lo capisco ed è proprio in momenti come questo che me ne pento. Non penso ci sia altro da aggiungere.
1 - “Ah, quindi avrai conosciuto qualche camorrista?”
Quanta ingenuità in una domanda simile. È in testa alla mia hit-parade solo per la sua assurdità. È incredibile quanto sia radicato nell’immaginario comune il binomio “Napoli-Camorra” ed è una delle cose di cui non smetto mai di sorprendermi ed indignarmi.
Questa, oltre ad essere solo una minima parte della mia esperienza torinese, è un’istantanea di quanto poco si conosca della mia terra e di quanto poco gli stessi abitanti del Sud si siano impegnati per cambiare quest’immagine.
La storia d’Italia è qualcosa di complesso: non dal punto di vista storico ma da quello umano. A volte mi vien da pensare che forse Nord e Sud sono davvero due popoli diversi, eppure ciò non giustifica ai miei occhi l’intolleranza o l’ingenuità con cui si dà credito a certi luoghi comuni.
E allora passo all’altra domanda, quella in cui mi chiedo di chi sia realmente la colpa? Chi è che ha ragione, quanto di ciò che viene detto o pensato è vicino alla verità?
E la conclusione è che probabilmente, coloro che davvero sono lontani dalla verità, sono proprio gli individui.