Potevano mancare commenti su Napoli nella settimana del luogo comune? No.
Da qualche parte ho letto che questa è la settimana del luogo comune. Torme di utenti di Facebook si accalcano sulla pagina dell’evento con sfilze interminabili si stereotipi, frasi fatte, banalità che, quotidianamente, ognuno di noi pronuncia.
Ho spulciato un po’ la pagina alla ricerca di qualche stereotipo sui campani, pensando che mi sarebbe tornato utile per il progetto #whatdasud, ma niente.
Non un accenno di razzismo territoriale, non una punta di acidità nei confronti dei connazionali “sudici”. Nemmeno un po’ di intolleranza.
Tutto ciò, oltre a convincermi del fatto che le tifoserie calcistiche fossero tutte ignare dell’esistenza della pagina, mi ha momentaneamente illusa: che sia tutto nella mia testa? Che sia vera la storia del “campano-vittima” che si lagna per il gusto di essere compatito?
Ero ad un passo dal crogiolarmi in questa fantasia meravigliosa, dove bagna cauda e mozzarella di bufala si fondono in un mix celestiale quando il mio sguardo trasognato è caduto sulla seguente frase:
“I meridionali sono persone come noi.”
Ma no, sarà un caso isolato… proseguo.
“Napoli è la città più grande della Somalia”.
Cari lettori, dovete sapere che ho una soglia di sopportazione della deficienza piuttosto bassa, quasi nulla. Ergo, se alla prima affermazione ho contenuto la mia reazione, alla seconda ero già alla ricerca dell’indirizzo dell’autore del secondo post per disegnargli una cartina geografica in faccia. A suon di schiaffoni.
Ma dal momento che, così facendo, avrei solo fomentato lo stereotipo del napoletano violento che va in giro col “ferro” infilato nell’elastico delle mutande, ho desistito.
Qualunque sia lo scopo della pagina non importa, non è questo il punto.
Oltre a vedere la mia poco longeva realtà rosea sgretolarsi sul monitor del mio Mac, mi sono ricordata del perché son qui a scrivere questo interminabile sproloquio.
I luoghi comuni, gli stereotipi o come preferite chiamarli, esistono e, ahimé, sono alla base di tutta una serie di preconcetti ben radicati nelle menti di innumerevoli persone. E non ha niente a che vedere con l’intelligenza degli individui. Certo, un cervello di dimensioni inferiori alla media risulta essere un terreno ben più fertile per simili idee…
Cercare di instillare un minimo di buon senso in chi sputa sentenze senza prima essersi preso la briga di verificarne la veridicità, sarebbe un’inutile perdita di tempo.
Dal canto nostro, ciò che si può fare è capire quali sono le origini di un preconcetto, comprenderle e, ove necessario, mutarle in positivo.
Facile a dirsi ma non a farsi. Lo stereotipo del campano grasso, che si ingozza di pizza dalla mattina alla sera, che ruba e che, se ti invita al suo matrimonio, ti obbliga a prenderti una settimana di ferie per assistere a tutti i festeggiamenti, regna sovrano nell’immaginario di molti. Troppi. Colpa di un costante martellamento mediatico che predilige contenuti di dubbio gusto quali cantanti neomelodici e ondate di monnezza. Colpa dell’immagine data da film, libri, serie tv e chi più ne ha più ne metta, che esaltano la Camorra e il potere che esercita sulla popolazione campana. Tralasciando l’aspetto politico, of course.
Ma, soprattutto, colpa nostra. Colpa di chi, in Campania, preferisce crogiolarsi in un attonito vittimismo piuttosto che rinnovare quest’immagine di sé. Colpa di chi, pur vivendo in quelle terre, si illude che il problema non lo riguardi. Colpa mia, che sono andata a studiare a Torino anziché rimanere giù, per cercare di riscattare la mia terra.
Colpa di chi risponde a quei post con altro razzismo, con altra intolleranza.
Perché assumersi la responsabilità di tutto ciò? Perché altri l’hanno fatto, lo stanno facendo. Si stanno scartavetrando l’ugola a furia di gridare la loro indignazione a chi, evidentemente, ha pure le orecchie foderate di mazzette.
È banale, è buonista, è scontato. Del resto, è pur sempre la settimana del luogo comune.