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Politically incorrect

Politically incorrect

Sara Gironi Carnevale (July 10, 2014)
Sara Gironi Carnevale
Uncaring attitude.

Una volta qualcuno mi chiese perché me la prendessi tanto nel momento in cui veniva detta una parola di troppo, seppur vera, sul Meridione.

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Una volta qualcuno mi chiese perché me la prendessi tanto nel momento in cui veniva detta una parola di troppo, seppur vera, sul Meridione. Dico “qualcuno” perché odio dargli ragione e, probabilmente, domani mi dirà che, come al solito l’ha avuto vinta lui. Sarà per una buona causa.


Non ho mai saputo dare una risposta a quella domanda o, almeno, non una in cui riuscissi a credere io stessa. Forse, presuntuosamente, pensavo che un torinese non fosse in grado di capire certe cose. Credevo che non fosse capace di comprendere l’imbarazzo e la vergogna che simili affermazioni suscitavano in me. L’indignazione, la rabbia ed il disprezzo, vero e proprio, nei confronti di tutti coloro che fanno sì che le definizioni di ladri, truffatori, sfaticati, ci calzino a pennello. Noi meridionali. Noi scansafatiche, noi vittime.
Ieri sera ero in compagnia di due miei cari amici gay. Quella dell’omosessualità, nemmeno a dirlo, è una realtà che ho conosciuto qui, a Torino. Che il Sud sia troppo chiuso e “tradizionalista” per accogliere determinate tematiche, probabilmente, è vero.
Si festeggiava la laurea e si parlava di Pietro Barilla e della sue affermazioni circa le famiglie gay. Che sia una scelta di marketing o semplice omofobia, chi se ne frega, il punto non è questo.
Si è parlato di un’ostentazione al limite dell’ipocrita da parte di media e pubblicità circa omosessuali, transessuali, bisessuali e tutte le altre declinazioni della parole “sessuale” che possono venire in mente. E mi sono sorpresa a recitare gli stessi identici concetti esposti dal mio “qualcuno” con una convinzione di cui non mi credevo capace.
Che la diversità faccia comodo? Che l’essere speciali, differenti, singolari, sia un’arma?
Sarà che ormai sono dottoressa, sarà che un paio di cocktail bastano a farmi sragionare, ma l’unica risposta che sono riuscita a darmi è che il vittimismo fa comodo. L’inferiorità, la parola “diverso” intesa come minoranza, come qualcosa da temere e, al contempo, rispettare perché così dice l’etichetta, è uno scudo. E i veri razzisti, omofobi o chicchessia, sono coloro che si trincerano dietro questa barriera.
Vittimismo sono i gay che osannano le aziende che inseriscono nelle loro case history almeno una campagna gay friendly. Lo sono coloro che utilizzano il termine “gay friendly”.
Vittimismo sono quelli che danno la squalifica alla curva che ha cantato “o Vesuvio lavali col fuoco”.
Vittimismo è premiare chi è visto come “inferiore” piuttosto che chi ha talento.
Vittimismo sono io che mi incazzo come una bestia nel momento in cui mi rendo conto di non poter difendere il mio popolo. O, almeno, non tutto.
Si può passare una vita lontani dalla curva o a progettare campagne che abbiano come testimonial la coppia omosessuale del momento. E si può passare una vita ad ignorare totalmente la propria terra, e se stessi, forti della pietà e della comprensione di chi li combatte, quei brutti cattivoni che ci prendono tanto in giro. Oppure ci si può guardare allo specchio e accorgersi che l’unica differenza tra l’ultrà del coro razzista e noi stessi è il fatto che noi, quella diversità, non la percepiamo. Non abbiamo bisogno di compassione, né di tutele, né pietà. Tutto ciò che ci occorre ce l’abbiamo, dobbiamo solo smettere di ignorarlo e fare un po’ di sana autocritica.
Non voglio credere che il Sud sia indifendibile ma, per farlo, ho bisogno che quel Sud la smetta di trincerarsi dietro al suo scudo ed esca allo scoperto, affrontando e riconoscendo i suoi problemi. Ho bisogno che anche l’ultimo dei mariuoli si indigni, che anche il ragazzino che osanna il boss si vergogni. Ho bisogno che la feccia più profonda della società trovi il suo tanfo insopportabile per la sue narici, per la sua coscienza. Ho bisogno di una risposta da dare a coloro che parlano male di Napoli, della Campania, di me. Ma da sola non basto.
I martiri si chiamano così perché hanno la coscienza pulita quando vengono lapidati.
Basterebbe rendersi conto che tutte quelle sassate non sono altro che i rimbalzi dei nostri stessi lanci.


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