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Rudy for Business

Rudy for Business

Stefano Vaccara (February 3, 2008)

Rudy e il suo staff di troppi amici e amiche erano solo un clan di incapaci italoamericani?

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Mentre in Italia il volenteroso Franco Marini tenta l’impresa disperata di risolvere l’ennesima crisi di governo per evitare le assurde elezioni del deja vu con “porcata” (Berlusconi e i suoi sost

enitori come possono ancora dare il nome di Casa delle Libertà alla loro strampalata alleanza senza dare la possibilità ai cittadini di scegliere chi mandare in Parlamento? La loro coalizione qui sarà chiamata “Il Casino delle Porcate!”), almeno negli Stati Uniti si sta assistendo alla più intensa, entusiasmante e finora indecisa campagna per le presidenziali dai tempi del duello Kennedy-Nixon.

Questa settimana c’è stato il terremoto dell’uscita tra i democratici di John Edwards (inaspettato) e tra i repubblicani dell’ex “favorito” Rudy Giuliani (inevitabile).  Per Edwards è stata fatale la sconfitta in South Carolina. Dispiace che vada via adesso, la sua voce con l’accento del Sud in difesa delle fasce più povere pungolava le campagne di Clinton e Obama. Edwards avrebbe dovuto resistere almeno fino al super Tuesday.

Per l’uscita di scena dell’ex sindaco di New York sarebbe stata fatale la sconfitta in Florida, lo Stato che avrebbe dovuto lanciarlo verso la nomination. In realtà già da parecchi mesi la navicella elettorale di Rudy for President faceva fumo da tutte le parti e il disastro finale senza botto dalla rampa di lancio della Florida non ha sorpreso nessuno.

Rudy e il suo staff di troppi amici e amiche erano solo un clan di incapaci italoamericani? Sospettiamo che non sia tutto così semplice, che in realtà Giuliani non si fosse poi così illuso. Pensiamo che Rudy e il suo staff non siano così ingenui o arroganti come le ultime cronache ce li hanno descritti, capaci di dilapidare in un mese un patrimonio che aveva tenuto Rudy in testa nei sondaggi per mesi. Giuliani allora non era il candidato dalle posizioni più conosciute, ma solo un nome più riconosciuto grazie alla notorietà nazionale raggiunta durante i terribili giorni post 9-11.  Basta pensarci un po’, la carriera politica di Giuliani è consistita nell’essere eletto due volte sindaco nella città che conta in percentuale più  democratici rispetto ai repubblicani di qualsiasi altra degli Stati Uniti. Rudy era l’ex procuratore distrettuale che una maggioranza di cittadini esasperati vedeva non come un repubblicano ma come possibile  dispensatore di “legge e ordine”; Rudy fu eletto da chi felicemente consumò il “tradimento elettorale” per dare una lezione ad un Partito democratico incapace di esprimere la leadership necessaria per  New York. Una “scappatella” da consumare negli anni Novanta senza rimpianti, dato che Rudy era comunque pro-choice, pro–gay… e di repubblicano aveva solo quel “fiscal-conservatism” che non dispiaceva neppure alle classi tanto liberal quanto agiate della Upper Est e West Side.

Quando Giuliani annunciò la sua candidatura per la Casa Bianca, quello che non si capì non fu la sua ambizione, ma il mezzo trovato per nutrirla. Correre per la nomination del Partitio Repubblicano? Dove a decidere non saranno solo gli sparuti  repubblicani di New York, LA o Miami, ma soprattuto quelli dei paesini del Kansas, del Texas o dell’Alabama? D’altronde sarebbe bastato guardare le mosse del suo successore, quel Michael Bloomberg che anche lui conquistò da “falso” repubblicano New York con il voto dei democratici, e che appena gira la voce di una sua possibile candidatura alla Casa Bianca, eccolo annunciare la sua uscita dal Gop. Come per dire: se lo faccio, ovviamente con questa mia “zavorra” una chance l’avrei solo da indipendente.

Quindi perché Giuliani si è candidato col Gop? Solo un “terribile miracolo,” un  altro attacco terrorista avrebbe potuto convincere i “red neck” del Sud a votare per quell’ex sindaco pluridivorziato che, raccontano le cronache, quando fu cacciato dalla moglie, per un periodo andò ad abitare con una coppia di amici gay. La risposta alla domanda forse si intravede meglio nel vederlo sorridente, il giorno della sua uscita di scena, consegnare il suo endorsement al candidato finora in testa: John McCain. Ecco che tutto può avere una logica: ok folks, io non potevo mai arrivarci alla nomination in questo partito, ma chi vuole assicurarsi quel 10% di repubblicani “metropolitani” che il voto me lo avrebbero dato, qualcosa in cambio dovrà pur darmi. La vicepresidenza? La dote di Giuliani non appare sufficiente per quella, ma “Giuliani Associates” ha bisogno sempre di appoggi per continuare il suo successo nel business, e i contatti  privilegiati con il nuovo inquilino di 1600 Pennsylvania Avenue hanno un valore inestimabile, che valgono l’investimento fatto in una campagna senza chance. Forse Rudy non andrà così bene “for President”, ma “for Business” va a gonfie vele.

 Published in America Oggi/Oggi7 02/03/08

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