La cucina italiana, specialmente quella meridionale, in passato non era considerata molto nell’opinione pubblica, che invece prediligeva l’elaboratissima e raffinata cucina francese, di assai più nobili natali: pasta, pizza e pesce erano infatti associati immediatamente all’immagine di quell’oceano di derelitti che, disperati, lasciavano l’Italia e attraversavano l'oceanoper affollare l
e strade di New York, Londra e Parigi alla ricerca di nuovi mondi, di sogni, per inseguire un futuro migliore.
La stessa cucina italiana era, per giunta, ben franca di cerimonie nella presentazione dei suoi piatti più famosi: poverissima, essenziale, figlia di antichissime tradizioni latine e greche che, nei secoli, si mischiarono alle miserie e alle influenze dei mille popoli che invasero l’Italia>
La stessa pizza che nacque nel 1400 nella taverna di un tal Mastro Nicola al Porto di Napoli e gli spaghetti divennero il pranzo preferito di Re Ferdinando dopo essere passati per secoli sulle tavole del popolo.
Fino a qualche anno fa, sulla bellissima costa del Cilento, c’erano due vecchietti che placidamente passavano le giornate innaffiando bellissimi fiori e coltivando un vecchio orticello: erano Ancel e Margaret Keys. Scienziati furono loro che per la prima volta idearono la dieta mediterranea e che, per metà della loro vita, coltivarono ortaggi e frutta assieme ai pescatori di Pioppi con le stesse mani che conobbero la stretta di Eisenhower, Roosevelt, Ciampi, Pertini, Tatcher e di quasi tutte le massime autorità che decisero il destino del mondo nell’intero secolo passato.
Prima della loro venuta in Campania, infatti, i coniugi Keys erano due dei più famosi e stimati scienziati americani degli anni ’50. La popolarità fu conquistata dal dottor Ancel Keys quando vinse la Seconda Guerra Mondiale sulle tavole: fu lui infatti l’inventore della “ Razione K“, le famose barrette di cioccolato ed i biscotti che portavano con sé i soldati americani in guerra, quegli indispensabili pasti che permisero ai militari alleati di combattere nel pieno delle energie, senza morire di fame nei territori nemici.
Fu proprio nel periodo immediatamente dopo la guerra che Keys provò a combattere proprio la malattia del benessere, l’obesità, che affogava sempre più businessman americani fra infarti e malattie cardiovascolari. Ebbe quindi una intuizione: e se i disagi derivassero dalle pessime e caloriche abitudini alimentari americane? Cominciò quindi un colossale studio che comparò le abitudini di numerosi paesi del mondo, cercando di comprendere quale fosse la relazione fra benessere degli abitanti ed abitudini culinarie. Il fatale incrocio, quell’istante che tese un filo che intrecciò i destini delle lontane Napoli e Minneapolis, si presentò poi in occasione di un convegno a Roma della FAO: proprio lì conobbe Gino Bergami, uno dei maggiori studiosi di fisiologia d’Europa e professore della Federico II.
Il collega napoletano invitò l’amico a visitare Napoli, proprio perché lì c’era la minore incidenza di malattie cardiache ed infarti. Incuriosito, il dottor Keys accettò l’invito e decise di dirigersi verso il capoluogo campano. Fu questione di un istante, fu folgorato dall’amore verso la città e si decise in un attimo: Via Santa Maria di Costantinopoli divenne la base operativa di un progetto ambizioso: curare l’Uomo attraverso il buon cibo, il “piatto povero” del Sud Italia che tanto faceva storcere il naso agli antichi costumi degli Europei, da sempre affezionati alla cucina francese.
Keys volle ribaltare quest’opinione: decise infatti di svolgere studi approfonditi sulle abitudini di vita dei napoletani, partendo da un gruppo di 100 pompieri per poi studiare altri vasti gruppi di uomini del popolo: si fecero sempre più forti le sue convinzioni che, oltre all’attività fisica, l’invidiabile benessere dei popoli meridionali era collegato proprio dal cibo che passava sulle loro tavole.
Lo studio di Keys fu però messo in pratica con estrema diffidenza: nessuno voleva rinunciare alle proprie storiche abitudini culinarie. Il Nord Italia infatti rigettò con freddezza gli studi sulla cosiddetta “ Dieta mediterranea“: nessuno voleva abbandonare le antiche tradizioni culinarie per mangiare il pasto di un pompiere napoletano. Servirono infatti più di vent’anni per diffondere lo status symbol della pizza anche in Lombardia e dintorni, merito della seconda generazione di emigranti che, ormai, aveva mischiato sangue meridionale e settentrionale: negli anni ’80 burro e lardo sparirono dalle tavole milanesi, facendo spazio al pregiatissimo olio salentino, ai pomodori del Vesuvio ed alla sognata e sospirata mozzarella campana che affiancò il nordico Asiago. Ancel Keys decise quindi di ritirarsi con la sua intera famiglia a Pioppi, acquistando un immenso terreno che chiamò “Minnelea“, unendo con una impossibile crasi l’antico col nuovo, Minneapolis con Elea, il nome greco dell’attuale Ascea, la città che si vedeva dal balcone della sua bellissima villa. Oltre ad essere uno scienziato, infatti, Keys era un grande amante della storia antica ed a Napoli trovò modo di dar sfogo a tutte le sue più grandi passioni: fu proprio lo stesso scienziato a chiedere espressamente all’architetto che costruì la villa a Pioppi di realizzare una veduta sulla città di Ascea, per guardare da lontano la città che diede luce ai padri della filosofia: Parmenide e Zenone.
Così, in quel frammento d’America sulla costa del Cilento, i due scienziati, ormai ultrasettantenni, decisero di creare un orto e condurre veri e propri esperimenti sugli abitanti della zona: invitavano spesso a pranzo i pescatori del luogo, facendo gli mangiare per settimane il cibo americano e per altre settimane i cibi della tradizione napoletana. Poi confrontavano i dati clinici delle analisi ottenendo, per la prima volta nella Storia, la conferma scientifica che gli ingredienti dei piatti meridionali sono fra i più salutari del mondo assieme all’allora poco conosciuta cucina giapponese (peraltro, anche la tradizione culinaria giapponese non ha nobili origini!).
Gli studi dello scienziato erano, però, solo di grande teoria. Ci volle il senso pratico della moglie Margaret Keys, una delle biologhe più stimate del ‘900, per dare una dimensione reale degli studi del marito: la signora Keys compose il primo ricettario di dieta mediterranea, libro che diventò un bestseller mondiale, con centinaia di migliaia di copie vendute. Così, grazie proprio a questo insolito e silenzioso team di anziani sposi che giravano per Napoli e dintorni con una vecchia macchina fotografica ed il fare goffo e curioso dell’improvvido turista, il mondo intero riconobbe la cucina napoletana come la migliore e più completa, legando per sempre l’Italia ai famosi “pasta, pizza e mozzarella cheese“. Gli stessi piatti che, in una inconsapevole collaborazione, furono diffusi ovunque dai migranti meridionali.
L’America, la miserabile colonia che prese in pugno il pianeta; la cucina napoletana, la povera tradizione che nel mondo diventò invidiato simbolo del benessere: Ancel Keys giunse a Napoli tanti anni prima delle sue scoperte, attraverso le barrette di cioccolato che i soldati americani regalavano agli scugnizzi fra le macerie della città bombardata. Poi, dopo la guerra, le bombe e la fame dei popoli, lo stesso Keys scelse il Sud Italia per una missione ben più importante: salvare l’umanità. P.S. Dopo aver vissuto per quarant’anni della sua vita fra Pioppi e Napoli, per il suo centesimo compleanno Keys volle rivedere la sua Minneapolis e, alla soglia dei 101 anni, morì proprio lì. Qualche mese prima della morte gli fu chiesto da un giornalista se la sua vita fosse stata tanto lungo per merito della “sua” dieta mediterranea, ma con un sorriso rispose: “non è provato scientificamente!” Poi, nel 2010, la Dieta Mediterranea è stata nominata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
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