Sign in | Log in

Istruzione o Distruzione? Scuole e università in piazza contro il decreto Gelmini

Istruzione o Distruzione? Scuole e università in piazza contro il decreto Gelmini

Gianluca De Nicola (October 28, 2008)

L'approvazione alla Camera del "decreto Gelmini" sul riordino del sistema scolastico e universitario ha sollevato un'onda di proteste che da due settimane coinvolge studenti e docenti di tutto il Paese. Manifestazioni, cortei, occupazioni di scuole e atenei contro i previsti tagli del personale e di bilancio e l'apertura alle privatizzazioni. Ma il governo minimizza

Tools

 In queste ultime settimane dilaga in tutta Italia la protesta di studenti e docenti contro il “riordino” del sistema scolastico e universitario voluto dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Mariastella Gelmini.

Il riordino prevede, senza mezzi termini, il taglio di 87.400 docenti nei prossimi tre anni, nonché di altre 44.500 unità del personale ausiliario, tecnico e amministrativo (ATA), sempre entro il 2012.

 
I tagli, che rientrano in una più ampia politica di stabilizzazione della finanza pubblica (legge 133 del 6 agosto scorso, che anticipa in molti punti la finanziaria di fine d’anno), saranno concretamente realizzati attraverso il ritorno al maestro unico nelle scuole elementari (oggi ci sono tre insegnanti per classe, con mansioni differenti), l’accorpamento delle classi nelle scuole superiori, cioè l’incremento del numero di allievi per docente, la riduzione delle ore di lezione con la sostanziale abolizione del tempo pieno, nonché la riorganizzazione della rete scolastica, ovvero la chiusura degli istituti che non raggiungono la quota minima di 500 alunni necessaria al conferimento dell’autonomia scolastica.
 
 
Le misure di contenimento riguardano anche le università, sul doppio versante del reclutamento dei ricercatori e della privatizzazione degli istituti. Detto anche qui senza giri di parole, circa 60.000 ricercatori oggi precari, ovvero assunti con contratti a tempo determinato, rischiano di non poter proseguire la loro carriera se gli enti da cui dipendono non riusciranno a stabilizzarli entro il 30 giugno 2009. In caso contrario, essi non potranno essere riconfermati e dovranno cercarsi un’altra sistemazione. Probabilmente all’estero, dal momento che le capacità di assorbimento del sistema italiano sono di gran lunga inferiori. Allo stesso modo sono previste riduzioni annuali, fino al 2013, dei finanziamenti e delle spese di funzionamento per le università; il che significa circa 1,4 miliardi di euro in meno per gli atenei, che saranno costretti ad affidarsi, magari trasformandosi in Fondazioni, al capitale privato. Il rischio, sottolineato a più riprese da studenti e ricercatori, è il ritorno a una pretesa cultura d’élite, arroccata in pochi istituti privati d’eccellenza e fuori dalla portata dei ceti medi e bassi.
 
Il ministro Mariastella Gelmini
Ma al di là delle temute privatizzazioni, ciascuno dei punti citati sopra è oggetto di contestazione. Le proteste, cominciate subito dopo l’approvazione del “decreto Gelmini” alla Camera, a inizio settembre, sono cresciute via via di intensità attraversando il Paese dalle grandi città ai piccoli centri. Dagli iniziali cortei con slogan e striscioni si è passati a gesti più clamorosi, prontamente sottolineati dai media: maestre che accolgono gli alunni con il lutto al braccio, ricercatori che tengono lezioni nelle strade e nelle piazze, occupazioni di scuole e università, assemblee, autogestioni, “invasioni” di studenti all’Auditorium di Roma, dove è in corso il festival del cinema, o al Salone Nautico di Genova. Il tutto in vista dello sciopero generale previsto per il prossimo 30 ottobre.
 
Ciò che colpisce, di fronte alle richieste di tutela di diritti elementari quali quelli allo studio e al lavoro, che costituiscono il nucleo delle manifestazioni, è l’inadeguatezza delle risposte del mondo politico e, in particolare, degli esponenti della maggioranza. Di fronte alle prime occupazioni, la settimana scorsa, il premier Berlusconi ha minacciato l’intervento della forza pubblica dichiarando illegale l’occupazione arbitraria di sedi istituzionali. Pochi facinorosi, debitamente strumentalizzati dall’estrema sinistra, non possono “impedire a coloro che vogliono studiare il diritto di farlo”. Ha detto proprio così, con autoironia certamente involontaria. Gli altri esponenti del governo hanno prontamente adottato la linea del premier, tanto che il ministro del lavoro, nonché delle politiche sociali, Sacconi, ha sostenuto che le azioni di questi giorni sono opera di giovani “presuntuosi e politicizzati, frutto di una scuola e di un’università autoreferenziali”.  E il ministro Gelmini, venerdi scorso, ha voluto chiarire una volta per tutte che il decreto contestato non subirà modifiche, bloccando sul nascere il previsto dialogo con i rappresentanti delle associazioni studentesche e dei professori.
 
Ora, la riduzione di problemi sociali e culturali anche importanti, come quelli che riguardano il mondo dell’istruzione e della ricerca, a mere strumentalizzazioni dell’opposizione è uno degli espedienti retorici più abusati dell’attuale governo. È una tecnica scoperta, che opera a 360 gradi, che mortifica ogni possibile discorso “di contenuto” e mira a costruire l’immagine di una politica caratterizzata dallo scontro tra la destra di governo, impegnata a risolvere con zelo e fermezza questioni urgenti per il Paese, e una sinistra isterica ed estremista (diciamolo pure, comunista), che cerca di compensare lo svantaggio agitando i fantasmi della dittatura e del tradimento delle regole della democrazia.
 
Le gestione del malcontento del mondo scolastico e universitario, da questo punto di vista, non fa eccezione. Si tratta, nelle parole degli autori della riforma, dell’ennesima campagna di disinformazione costruita ad arte dalla sinistra in malafede, forte dell’appoggio di associazioni studentesche e sindacali di dubbia moralità. Che sul tavolo, o meglio in piazza, ci siano questioni che hanno poco a che vedere con la politica e molto con lo sviluppo culturale e sociale del Paese, è un sospetto che non sembra sfiorare gli esponenti della maggioranza.Lo stesso parlare di campagna di disinformazione appare un consapevole tentativo di depistaggio, dal momento che le leggi sono lì, con tanto di numeri e motivazioni, consultabili da chiunque volesse prendersi la briga di farlo sul sito del Parlamento italiano. Il fatto che pochi lo facciano, e che i governanti lo sappiano, è una questione che pone tristi interrogativi sulla partecipazione cui prima o poi varrebbe la pena rispondere.
 
Ad ogni modo, è del tutto evidente che le difficoltà di conciliare le esigenze di bilancio e di contenimento dei costi pubblici, con quelle di garanzia dell’istruzione e del lavoro, soprattutto in tempi di economie difficili come questi, richiederebbero altri toni, altre visioni dello Stato e della società (o almeno “una” visione, una qualunque, in grado se non altro di chiedersi se un Paese che non investe nella ricerca e nella formazione dei suoi giovani non sia destinato a scivolare lentamente nel passato), e un interesse per il futuro che superi il limite della prossima campagna elettorale.
 
Le vicende cui assistiamo in questi giorni rendono purtroppo altrettanto evidente che tali prospettive mancano, a destra come a sinistra, e che sperare in uno Stato lungimirante oggi in Italia è un sogno non molto diverso da quello dei 60.000 ricercatori e degli 80.000 docenti che sperano presuntuosamente di poter continuare a fare il lavoro per cui si sono preparati, e sul quale, oggi come oggi, si ostinano a mantenersi.
 
Le scuole in piazza contro la riforma Gelmini
 
 

 

Attachments

Testo Legge 133, Decreto Gelmini.pdf [open]
DISCLAIMER: Posts published in i-Italy are intended to stimulate a debate in the Italian and Italian-American Community and sometimes deal with controversial issues. The Editors are not responsible for, nor necessarily in agreement with the views presented by individual contributors.
© ALL RIGHTS RESERVED - RIPRODUZIONE VIETATA.
This work may not be reproduced, in whole or in part, without prior written permission.
Questo lavoro non può essere riprodotto, in tutto o in parte, senza permesso scritto.