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Note di un Runner. Parte Seconda.

Note di un Runner. Parte Seconda.

Carmine Savarese (February 17, 2010)
Carmine Savarese
La Signora Camaleonte, Coney Island NY 2009

Le seconde istantanee del mio aggirarmi rapito nei meandri di Nuiorc. E l'estate incalzava.

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30/6. La stazione di Fordham Road e' sulla sopraelevata, in realta' lo e' tutta la linea dal momento in cui il subway emerge dalle parti dello Yankee Stadium. Le project houses scorrono tetre ai lati ma si percepisce calore umano. Questo e' il Bronx.

Quando il treno si ferma e scendo al livello della grande arteria commerciale l'impressione che ho e' quella di una metropoli caraibica, un po' per gli accenti che volano nell'aria, un po' per l'umidita' di un giugno piovoso e testardo, ma soprattutto perche' sono realmente l'unico bianco giu' nella via. A passo deciso mi faccio strada tra la fiumana di popolo che nel sabato pomeriggio ondeggia a ritmo di consumismo ed hip hop. Da queste parti tutti indossano un paio di Nike extra size ed il Big Mac e'ancora livella della societa'. Ma la mia meta e' un altro pezzo di pianeta in questa Mela grande come il mondo; mi dirigo ad est, supero il Fordham College e pian piano la scena muta, cambiano gli attori, gli sfondi. Entro in Arthur Avenue e le casette unifamiliari con le madonnine che spuntano dai giardini con lo steccato ed i tricolori alle finestre svelano l'atmosfera del quartiere. La signora Chiara e' arrivata a Nuova York  da Bari nell'agosto del '57 salpando con la Cristoforo Colombo da Napoli, sposata in fretta e furia a 19 anni con Gino -perche' signorina all'America non la mandavano-. Oltre un mese di navigazione e si sbarcava ai Chelsea Piers, probabilmente l'ultima volta che ha messo piede giu' a Manhattan. Se ne ando' quasi subito da alcuni paesani su nella Piccola Italia del Bronx. L'inglese non lo ha mai imparato del tutto ma non ha mai scordato come si fanno dolci e taralli. Gino oggi non c'e' piu', ma lei ti accoglie come allora nella loro piccola pasticceria all'angolo con la 187esima.  Io scelgo due sfogliatelle, ricce e con lo zucchero a velo sopra. Come da noi a casa. Fanno 4 dollari ma lei insiste per regalarmele. Ero entrato per caso.

 

3/7. Ieri pomeriggio sono passato a salutare il mio gigante preferito, la' dove la Quinta Strada e Broadway s'incontrano e gli danno sta forma a ferro da stiro che ha fatto si' che il mondo lo conoscesse come Flatiron. E'il piu' antico grattacielo in citta' ed oltre un secolo fa era vertiginoso. Ieri, pacifico, si specchiava nella pioggia. A dispetto del tempo.

 

6/7. Roosevelt Island e' una terra di nessuno un po' triste tra Manhattan e Queens, lunga e quieta con l'East River che le scivola di fianco. Ci si arriva in funivia e c'e' un piccolo parco a sud con una stradina bianca e le erbe di scarpata che di questa stagione abbondano. Nel mezzo un ospedale ottocentesco abbandonato e senza tetto, con la forma di un castello medievale, a dir poco surreale con i grattacieli di sfondo.

 

20/7. Correndo lungo la banchina dell'East River ho iniziato un gioco di sfida e resistenza. Cerco di tener testa ai rimorchiatori che scendono il fiume verso la baia di New York. Sono delle giganti balene rosse che scivolano sulle acque scure e per un pezzo riesco a batterle, poi mi sopraffanno, ma io, soddisfatto, mantengo il mio ritmo.

 

23/7. Oggi piccolo grande record 1h e 12 minuti di corsa effettiva. Al 24esimo minuto nel parco sotto il Queensboro bridge, lungo il fiume, ho trovato una palla da baseball e l'ho fatta mia custodendola fino a casa, prima in una mano, poi nell'altra. Verso il 55esimo minuto ho letto sul muro della biblioteca l'incipit della Divina Commedia in Italiano, i primi tre versi dell'Inferno. Surreale tra i meccanici indiani del Queens.

 

2/8. La linea Q del Subway il sabato mattina porta l'immenso popolo della Mela alle spiagge cittadine della Piccola Russia; dalle parti di Coney dove la costa di Brooklyn si bagna nella baia di New York. Su dal Bronx sono anche piu’ di 2 ore di viaggio. Il vagone e’colmo come in un weekday ma il vociare allegro e le sedie pieghevoli da mare sostituiscono i musi lunghi ed i laptop dei lunedi’ di lavoro. E’ chiaro a tutti che oggi e’ festa. Una giovane famiglia nera si stringe tra passeggino ed ombrellone pieghevole; il bimbo piu’ grande sorride grato al padre con i suoi denti bianchissimi. Un gruppo di coppie latine appena salito alla 59esima strada mescola schiamazzi a sorsate di rum dominicano nascosto nell’ipocrisia di Zio Sam e del sacchetto di carta. Gli uomini sovrappeso con le bluse degli Yankees ed i tatuaggi della Virgen de Guadalupe parlano spanglish. Le pagine in cirillico del paperback che la signora ha tra le mani tradiscono la sua origine russa e lei a Little Odessa non ci va al mare, ma ci torna a casa dopo il turno d’infermiera su in ospedale a Midtown. Il treno e’ un local e per attraversare Brooklyn impiega una buona ora, ferma a tutte le stazioni ed a seconda della zona carica su italiani, messicani, coreani, indiani e caraibici, tutti livellati dagli stessi marchi di junk food che gridano -mangiami!- dalle buste in plastica, dai cartoni della pizza e dai bicchieroni supersize stracolmi di ghiaccio e calorie che tengono tra le mani con avidita’.

La voce del macchinista urla all’altoparlante -Briiiighton Beeeeach!- e le porte automatiche si aprono. Il gelo dell’aria condizionata si scontra con il caldo umido dell’agosto atlantico. La folla si riversa fuori. Brighton Beach non e’ il piu’ bel quartiere di New York City ma sicuramente ha fascino. La stazione e’ una sopraelevata d’antico acciaio americano e sta li’ gia’ da almeno 100 anni. Scendendo le scale ci si immerge in strada. Qui tutto e’ in caratteri cirillici, come il libro dell’infermiera, lo e’ persino l’insegna “telefono” sulla cabina. Qui arrivavano i russi e tutti quegli euroasiatici che scappavano dalla morsa della grande madre Rossjia certi di barattare il grigio socialismo con il sogno stelle e strisce, ma che poi si sono ritrovati a vivere in un paradosso etnico-geografico, in uno scialbo scenario con un nome britannicissimo alla periferia di Broccolino. I russi  per luogo comune non riesci ad abbinarli al mare ed infatti loro fanno finta che l’oceano, nascosto dietro brutte palazzine non esista e si ostinano a vendere caviale e salmone ed a dirti spasiba per grazie. Ma e’ in dollari che si fanno pagare. Le etnie che attraversano la via dirette al mare non sembrano dar troppo peso a questi algidi autoctoni, tutt’al piu’ sostano negli stores per comprare ancora food da spiaggia.

Come in quelle vecchie foto degli anni trenta l’immensa spiaggia atlantica e’ una distesa continua di esseri umani. Ognuno col suo credo, il suo colore, il suo tenore ed i suoi gusti. Ognuno illudendosi allegramente al sole d’agosto con il proprio American Dream al fresco nella ghiacciaia con le birre.

 

4/8. La ragazza dai capelli rossi e' molto bella, e' alta e sicura del suo passo. Mi precede all’uscita della stazione di Herald Square. Ha unghie smaltate di rosso e mani velate da lunghi guanti neri che danno un buon indizio sulla sua meta. Ha scarpe blu col tacco alto che svelano un piccolo tatuaggio e rendono il suo rapido andare catalizzante. La seguo ancora un attimo con lo sguardo davanti al Madison Square Garden, la piu’ scintillante arena del pianeta Terra, mentre la folla all’ingresso ci assorbe entrambi e gli scanner laser leggono i nostri biglietti d’ingresso. Stasera in citta’ e’di scena una band trentennale che spacca a suon di electro new wave e fish and chips. Due ore di adrenalina pura, di Depeche Mode ed un’onda continua di centomila corpi ondeggianti ed immagini video sparate che ammaliano e ti fanno pensare - cazzo - poi alla fine ci siamo arrivati al 2010.

 

20/8. Prove di Liberta'. La spiaggia oceanica e'una striscia dorata che vuol correre all'infinito. L'Isola del Fuoco e' soprattutto lunga e guardando l'orizzonte immagino le coste del Portogallo dal lato opposto. Penso agli ultimi secoli ed agli uomini che hanno solcato questo Atlantico oceano con la stessa luce bianca accecante a brillare negli occhi. E’ curiosita' e timore e speranza e desiderio e fuga e disperazione e ricongiunzione e brama. E’ Vita ed e’ Morte su vascelli/fuscelli e su titanici colossi d’acciao. Sono Vichinghi che in sordina si prendono la briga di traversarlo per primi. E’ un Italiano ambizioso, ma sognatore quanto basta a renderlo simpatico, a toccare le terre aldila’ ed a farne un evento mediatico rinascimentale. Poi sono gli avidi Britannici ed i grezzi Spagnoli, sono gli Uomini senza niente da perdere della flagellata ed antica Europa e sono i figli dell’Africa sradicati senza amore e ripiantati in una terra dove per crescere hanno lacrime salate e non dolce acqua. Ed in senso contrario sono partiti i figli del Nuovo Mondo, uomini di ogni colore ma in una sola identica verde divisa, a liberare il Vecchio dagli scempi e dalla follia dei loro padri. Mentre penso sto correndo e la Mela Grande, frutto e madre di queste traversate, oggi e’ lontana e la posso soltanto immaginare 50 miglia dietro di me. Correndo ho solo gabbiani ed oceano e dune di sabbia e conchiglie preistoriche giganti e tutti gli Uomini della Terra finiscono per non esistere e la Storia degli Uomini potrebbe essere solo un mio pensiero. Corro ed il mio unico legame fisico con la civilta’ umana e’ il costume blu che indosso. Lo tolgo. Corro ancora. Non penso piu’. Sono un gabbiano.

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