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Note di un Runner. Parte Prima.

Note di un Runner. Parte Prima.

Carmine Savarese (February 17, 2010)
Carmine Savarese
About a Boy - NYC 2010.

Il primo impatto, non da turista, con la Mela Grande l'ho avuto la scorsa primavera e su questo ritmo sono andato avanti fino a fine estate. Ho iniziato a correre ed osservare Nuiorc e la sua gente. Queste le prime istantanee.

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16/5. Ieri sera ho corso fino a Spanish Harlem, ho fatto la spesa in Tito Puente Way ed ho parlato con le vecchine ispaniche. Mi hanno dato qualche buona ricetta per cucinare la tilapia.

 

17/5. Oggi Hell's Kitchen e’un quartierino molto cool, si dice che il nome tragga origine dalla battuta di un vecchio sbirro che pattugliava l'area, degradatissima nel secolo scorso, il suo compagno di ronda gli fa -questo e' l'Inferno!- e lui -il clima dell'inferno e' troppo temperato per questi balordi, questa e' la Cucina dell'Inferno!-... da li' il nome si estese a tutta l'area west dalla 34th alla 59th.

 

19/5. Ho attraversato tutta la 54th strada da east a west, da casa all'Hudson river, fino a trovarmi di fronte al New Jersey, lungo la costa ho iniziato a correre per 70 strade in direzione nord, da Hell's Kitchen alla 125th ad Harlem. E' affascinanate osservare il mondo al passo rapido della corsa. Ho visto uomini grandi su bici piccole e paperi che si sollazzavano al sole, ho visto barconi lenti risalire il fiume ed ho visto i ricchi fare sport su Riverside park ed i poveri venir giu' da Harlem in bicicletta, proprio come fanno i ricchi, ho visto ragazze assorte alla luce del tramonto con un buon libro tra le mani e padri con il guantone da baseball e figli che lanciavano la palla. Ho visto il New Jersey di fonte, a meta' tra sonnecchioso ed operoso ed in fondo il Washington bridge, ponte che ti proietta nella profonda America. Guardavo l’Hudson farsi piccolo verso nord ed immaginavo i nativi in canoa solo 200 anni fa. Ho smesso di correre ad Harlem, dove il colore della mia pelle e' in netta minoranza, ma mi sono sentito libero perche' il sorriso della gente ti penetra sotto la pelle, molto piu' che sulla Fifth Avenue.

 

21/5. Central Park. C'era il sole ed 80 gradi e migliaia di Newyorchesi con i frisbee e le ragazze ad abbronzarsi ed i bambini ed i cani e gli alberi a fare ombra. Il rombare della citta per un attimo svanito. Preludio alla verde America. Pensando al Greyhound.

 

23/5. Stamattina ho preso un treno verso nord. Mi solo lasciato NY alle spalle di almeno 50 miglia. Appena fuori dal Bronx, lungo l'Hudosn river la natura ti avvolge maestosa. Sono sceso a Peeskill, poche anime, qualche pick up, un pub. Ho traversato il fiume e mi sono arrampicato su Monte Orso e dalla cima ho guardato la grande America. Volavano le aquile, per davvero.

 

30/5. Quattro passi a Williamsburg, ex cittadina delle Indie Occidentali, lungo l'East River. In seguito sobborgo industriale e malfamato di una New York gotica e feroce. Oggi quartiere alternativo di Brooklyn dove Starbucks ancora non ha attecchito. Dove e' piacevole e curioso osservare la fauna Indie che vi giunge, tutta colorata, che attraversa il fiume con un treno cromato passandovi al di sotto. Ogni 10 minuti. Continuamente.

 

1/6. Il sole di giugno rende scintillante l'erba del parco centrale; ha il sapore di un albicocca, buona ma ancora un po' verde, mentre la terra sprigiona umidita' e ti avvolge calda. I corpi lattei di impiegati in pausa pranzo sgusciano dagli abitidivisa e si fanno rossi come timide guance. Mi lascio assopire dolcemente ed immagini di grattacieli e faraglioni si confondono nel mio lieve sonno.

 

4/6. Una delle cose che preferisco quando esco a correre lungo l'East River, verso sud, nel tardo pomeriggio, e' passare davanti al Palazzo dell'Onu quando gli uffici chiudono ed una folla multietnica si riversa lungo la First Avenue. Mi ritrovo a fare slalom tra anziani diplomatici coreani e gruppi d'impiegate tutte con lo stesso tailleur, ma ognuna con una tonalita' differente di pelle. La quintessenza del pianeta.

 

10/6. New York ti fa innamorare quando ti regala, in un martedi' uggioso di giugno, un festival lungo il Museum Mile, dietro casa, strade senza macchine ed i piu' bei Musei della citta' gratis per tutti. Mimi, musicanti ed i bambini nella via a colorare l'asfalto con i gessetti.Il Guggenheim tutto per me, con una mostra su Frank Lloyd Wright, i brividi. Poi Picasso Chagall e Kandinisky tutti a cena da me.

 

11/6. Sono sceso giu' nella malfamata Avenue D di Alphabet City, l'ho risalita a passo di corsa fino a dove diventa un muro scontrandosi con la gigantesca centrale elettrica di Manhattan, sulla 12esima. Le project houses, tristi marroni mattonate case popolari, si susseguono e sotto di esse puoi comprare una bandiera di Puerto Rico per 1$ e del cibo cinese per poco piu'. Due grosse nere litigavano. Stava per piovere.

 

14/6. Il mio barbiere uzbeko con la moglie parla russo ed ha un fare sovietico, con suo figlio parla inglese in funzione del presente. Con me vuol parlar di calcio e la tv urla televendite. Non ha eta' ma e' in America da 10 anni. Lavora sotto il palazzo delle Nazioni Unite e non sembra dargli peso. Ma quando fa una pausa ferma la mano, chiude gli occhi e con il pensiero vola a Samarcanda ed alle steppe silenti.

23/6. Sono entrato in Central Park di gran carriera confondendomi in un gruppo di circa 50 podisti anglosassoni ed esaltati. Li ho mollati dopo meno di un miglio ed ho corso ai bordi del lago dove una gondola con tanto di gondoliere veneziano ogni volta mi sconvolge per come appare surreale. Poi su nel bosco io ed un procione ci siamo guardati negli occhi, alla fine lui ha abbassato lo sguardo ed io sono emerso lungo le sponde del Harlem Meer, all'estremita' nord dove le razze degli uomini si mescolano in armonia. In sequenza ho schivato tre signore hindu in sari che pescavano nel lago chiacchierando dell'ultimo successo di Bollywood, una yarda piu' avanti un gruppo di donne musulmane velate sedevano sul prato godendo dell'aria tenera di giugno. Uscendo dal parco, appena sulla 110ma strada da un finestra penzolava una bandierina di Puerto Rico ed una donna grassa urlava al marito che la cena era in tavola. Lui bighellonava in canottiera con due tizi sotto il portone, uno di loro fumava sciatto. E' stata una frazione di secondo, poi mi sono immerso in Spanish Harlem iniziando il defatigamento, ho fatto stretching all'incrocio con la Lexington poco prima di entrare in una tienda messicana, scegliere delle fantastiche zucchine italiane per 1 dollaro e 50 la libbra e scambiare due battute in spagnolo con la signora di Puebla che me le ha vendute. Vivo su un'isola, si chiama Manhattan.

Continua...

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