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Andrea Fiano. Accettare la cultura multietnica

Andrea Fiano. Accettare la cultura multietnica

Letizia Airos Soria (January 17, 2008)

Questa volta parliamo con Andrea Fiano, negli Stati Uniti dal 1982, ed oggi corrispondente del quotidiano MF-Milano Finanza e della stazione televisiva italiana Class-Cnbc

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Continuiamo la nostra serie sul tema immigrazione con interventi tra l’Italia e gli USA.

Questa volta parliamo con Andrea Fiano, negli Stati Uniti dal 1982, ed oggi corrispondente del quotidiano MF-Milano Finanza e della stazione televisiva italiana Class-Cnbc.


Fiano oltre ad essere un noto giornalista è anche nel board del “Centro Primo Levi” di New York. Figlio di Nedo Fiano, cittadino italiano deportato ad Aushwitz nel 1944 e poi liberato a Buchenvald, il giornalista ha anche per questo motivo una grande sensibilità su tematiche legate alle minoranze. Matricola A 5405, un numero da ricordare per la sua famiglia ma anche per tutti noi, per non allentare mai la guardia.


Quale è la tua sensazione quando torni in Italia e vedi che il nostro Paese diventa con grande difficoltà multietnico? Credi sia possibile un’ondata di xenofobia? O si tratta solo di sacche di violenza?


“Io vivendo soprattutto qui non mi sento in grado di giudicare le dimensioni del malessere. Quando vado in Italia vedo che, con ritardo rispetto a tanti paesi, si sta affrontando il problema del passaggio da una società monoetnica ad una società multietnica. Dalla società con una cultura e religione dominante ad una con cultura multietnica, che richiede pluralismo di osservanze e fedi religiose.

E’ un cambio che è stato drammatico in Francia e anche lì non è ancora del tutto risolto. E’ sicuramente complicato e complesso anche nel nostro Paese. Bisogna mantenere il sangue e la testa calma. Vedere le cose per quelle che sono. Rendersi conto che la stragrande maggioranza delle persone che vengono a lavorare fanno quasi sempre lavori che gli italiani non vogliono fare. Contribuiscono alla società italiana in maniera molto positiva. Poi portano con se le loro tradizioni, ma è importante imparare a convivere, a tollerare. Ci vogliono certo dei paletti, dei punti di riferimento, delle leggi, ma bisogna anche lasciare la libertà di fare. Credo che il successo dell’esperienza americana sia nel fatto che leggi esistono, viene rispettata una regolamentazione di fondo ma poi si tiene presente anche la libertà personale.”

Pensi che gli italiani abbiano sufficienti strumenti culturali, prima ancora che politici, per accogliere gli stranieri?

“Non li abbiamo, ma li stiamo imparando. Ci vuole pazienza ed io come membro di una minoranza sono molto sensibile a questo tema.. Alla necessità di rispettare i diritti dell’individuo e delle minoranze. Nella misura in cui si rispettano ovviamente le leggi dello stato. Ormai in Italia c’è un fenomeno migratorio di dimensioni talmente grandi, in parte non regolamentato, e comunque non controllato, per cui sono ci sono dei problemi. Un rischio di xenofobia c’è e bisogna non fomentarlo…”

Credi che una maggiore conoscenza della storia dell’emigrazione italiana (che non si insegna accuratamente nelle scuole) possa contribuire a rafforzare la consapevolezza, soprattutto nei giovani, non solo del nostro passato, ma anche del nostro presente?


“Sarebbe molto importante e chiuderebbe il cerchio. Permetterebbe di capire che gli italiani sono passati per esperienze molto simili. Sono stati oggetto di derisione, se non di fenomeni di razzismo vero e proprio. Di linciaggio addirittura.”

Ci vuole quindi un'informazione piu' consapevole...

“Il problema è sempre lo stesso. E’ quello delle soluzioni facili rispetto a quelle difficili, complicate e che prendono il tempo necessario. Quello che trovo insopportabile, oltre ad alcuni segnali di razzismo, è la malafede di chi non ammette che se in Italia, nel mondo del lavoro, non ci fossero gli immigrati del terzo mondo, molte aziende e settori di mercato non funzionerebbero. Non ci sarebbe chi fa il Parmigiano Reggiano dai casari, non ci sarebbe chi lavora in fabbrica e fa le piastrelle nel modenese… non ci sarebbe negli stabilimenti del tondino chi fa l’operaio negli altiforni. Li vogliono come forza lavoro, ma non li accettano per le loro tradizioni. Questo è profondamente sbagliato.”
Dunque occorre maggiore riflessione e sensibilità.

“Vogliono aprire una moschea? Giusta la risposta di quel prete che presta la sua chiesa una volta alla settimana per le loro funzioni. La strada è quella del pluralismo, la tolleranza, il rispetto . Occorre fare attenzione, e non fomentare rivolte. Certo ci sono casi come quello della povera ragazza di Brescia ed i genitori indiani che hanno praticato un vero ‘omicidio d’onore’. Lì si deve intervenire. Ma si deve fare in modo che possano seguire le norme delle loro religioni. Non si deve imporre ai ragazzi la celebrazione del Natale nelle classi. Ci sono delle scuole in Italia dove ormai l’ottanta per cento degli studenti non è cristiano.”

Si dovrebbe seguire la strada che hanno seguito gli Stati Uniti?

“Questo paese con tutti i suoi limiti è da guardare. Bisogna in Italia trovare dei punti di riferimento laico, che uniscono. Come per esempio qui il Thanksgiving. E’ una festa laica che celebrano tutti. Credo che gli emigrati possano dare un contributo enorme al nostro Paese. Non solo sul piano demografico, ma anche su quello del multiculturalismo.

E’ chiaro che ci sono dei problemi…. Ma tutte le volte che sui giornali italiani viene sottolineata una religione o l’etnia, francamente mi inorridisco.

Certo ci sono delle percentuali di criminalità però sono convinto, anche se non sono un esperto, che ci sono state delle grandi manchevolezze politiche. Ma al tempo stesso non dimentico il caso delle prostitute dalla Nigeria tantissime proprio grazie a qualcuno che, corrotto, lavorava nell’Ambasciata Italiana a Lagos…”

Certo si percepisce chiaramente il rischio in molti casi che la gente si dimentichi che la responsabilità penale è personale. Che a commettere un delitto è un individuo e non il suo gruppo..
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“Bisogna chiamare un ladro, ladro, un violentatore, violentatore, e non fare di tutta un erba un fascio. Bisogna affrontare l’emigrazione clandestina. L’Italia che ho lasciato 25 anni fa questo problema non l’aveva. E non aveva quello di baraccopoli poverissime dove per forza di cose si sviluppano fenomeni di criminalità.

Ma dico anche che poi chi non sopporto è il padrone del ristorante italiano, caso che ho vissuto sulla mia pelle, che comincia a dire quanto sono scemi i filippini che lavorano da lui. O quelli dello Sri Lanka che sono ai fornelli. Lo fanno per quattro soldi…”

Tu, dopo 25 anni di America, ti definiresti emigrante? E come vivi questa tua doppia identità di italiano e ebreo?

“Mi sento un italiano all’estero. Credo che nella testa e nel cuore delle persone ci sia spazio per molte identità. Sicuramente essendo parte di una minoranza sono molto sensibile ai diritti delle minoranze e a tutto ciò che riguarda gli stereotipi, il razzismo.

La mia attenzione è molto acuta. A volte la gente dice che gli ebrei sono troppo sensibili. No c’è dubbio perché queste problematiche per noi hanno avuto degli effetti catastrofici. Bisogna rimanere in guardia. Devo però dire con molta chiarezza che la società italiana istituzionale e normativa è molto sana. Non è quella del fascismo.

Ma al tempo stesso credo che il problema dell’accoglienza sia un problema dello Stato e non solo della Caritas...”

Secondo te in Italia è aumentata la distanza tra il ricco ed il povero? E questo non è un fattore che aumenta il rischio criminalità?

“C’è stato un grande peggioramento. La povertà che si vede per strada è tanta ed i fenomeni di emarginazione sociale sono un concime per la criminalità. Ma una cosa è parlare della società multietnica e una cosa è chiedersi cosa sia successo con la criminalità. Non sono un esperto.”

Ma bisogna fare attenzione...


“Ma non so come dire. Per me è come quando uno si è operato ad una gamba e si accorge subito di quando piove. Io vivo questa condizione di minoranza con una maggiore sensibilità. Come il mio gatto che corre alla porta prima che arrivi qualcuno e noi non ci siamo accorti di niente. Io credo che per sentire il lezzo del razzismo occorra grande sensibilità. Oggi si sentono dire cose che dieci anni fa non si udivano. Ci sono in Italia forze politiche che, se non fanno del razzismo la loro bandiera, poco ci manca. E fanno della demagogia sicuramente una loro bandiera. Gente che lascia una testa di maiale di fronte ad una moschea. Cose di questo genere. Bisogna imparare a rispettare e rispettarsi. Accettando i giorni del ramadan per esempio.”

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